La Cosmographia è opera basilare dell’Umanesimo, della sua sete di cultura e di scienza, anticipatrice degli ideali del Rinascimento e dell’età delle grandi scoperte geografiche.
Il primo atlante universale La tradizione tolemaica, codificata nei manoscritti greci, fu riscoperta nel Quattrocento quando a Firenze, capitale intellettuale e artistica, si sviluppò quella ricerca scientifica e cartografica che segnò l’età delle grandi scoperte geografiche. Nelle botteghe fiorentine vennero compilati e miniati i più bei Tolomei della storia dell’arte e della scienza e i potenti del Rinascimento – da Borso a Federi-co da Montefeltro, da Mattia Corvino d’Ungheria a Luigi XII di Francia – fecero a gara per entrare in possesso di questi mirabili codici, rilegati in finissima pelle di vitello, con le belle miniature a bianchi girari e con le ventisette carte del mondo.
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Il codice estense, miniato su pergamena, si compone di 128 carte di cm 45 × 31. Fu acquistato nel 1466 da Borso d’Este, al quale è dedicato, direttamente dall’autore, l’umanista tedesco Nicolò Germanico. La Cosmographia to-lemaica, nella versione latina di Jacopo Angelo da Scarperia, è corredata dalle tradizionali 27 tavole geografiche a doppia pagina (45 × 62 cm) rinnovate dall’autore con l’adozione della proiezione trapezoidale. La prima delle 27 carte raffigura l’ecu-me-ne; le successive, pre-cedute da un testo esplicativo, illustrano le singole regioni terrestri allora conosciute.
L’apparato cartografico della Cosmographia va considerato come uno dei monumenti della creatività dell’uomo, in un’epoca dove arte e scienza erano spesso intimamente correlate. La prima carta del manoscritto è di dedica a Borso d’Este, grande collezionista e committente di codici miniati, che ripagò l’autore con ben 100 fiorini d’oro.
Lo straordinario cimelio della Biblioteca Estense costituisce una delle più importanti opere dell’arte cartografica rinascimentale, testimone dell’interesse scientifico e politico per la conoscenza del mondo, documento fondamentale per incentivare e supportare le spedizioni di terra e di mare alla ricerca di nuovi popoli e di leggendarie ricchezze. L’Atlante di Borso, per la sua voluminosità e per la sua raffinatezza artistica, era un’opera di rappresentanza e non certo di consultazione (attestato peraltro dall’ottimo stato di conservazione), ma l’acquisizione in una delle biblioteche più famose collocava la nuova scienza geografica tra le materie di maggior importanza e attrattiva per l’uomo del Rinascimento
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La Cosmographia, in tiratura unica ed esclusiva di 499 esemplari numerati e certificati, è stampata con i rigorosi criteri del facsimile su apposita carta 250 grammi nel formato atlantico dell’originale. L’edizione ripropone nel codice le 27 grandi tavole geografiche, mentre il testo teorico tolemaico è riprodotto integralmente a colori nel volume di commentario (272 pp. nel formato 24 × 32 cm), preceduto da un saggio di Laura Federzoni e dalla nota codicologica di Mauro Bini. Le tavole sono commentate da Annalisa Battini. Codice e commentario sono custoditi in un elegante cofanetto in seta con impressioni.
Manoscritto miniato su pergamena, datato tra il 1505 e il 1510, formato 17x26 cm, costituito da 199 carte: le prime 12 sono dedicate al calendario, 29 sono interamente miniate con cornice, stemma, testo e iniziali, 10 presentano piccole miniature, mentre tutto il testo, in scrittura gotica minuscola con caratteri regolari, è decorato con iniziali dorate; le 14 carte smembrate dal codice originale, e ora conservate a Zagabria, sono prive della cornice esterna e rifilate sui quadri interni interamente miniati. La legatura di riferimento è quella settecentesca del frammento di Lisbona, in cuoio di Russia con cornici dorate sui piatti e sul dorso.
Il libro d’ore di Alfonso i d’Este
Il codice, «l’ultima creazione veramente straordinaria della miniatura ferrarese», fu commissionato dal duca Alfonso i al miniatore Matteo da Milano. Appartenuto alla Biblioteca modenese fino al 1859, fu asportato dagli Estensi (assieme alla Bibbia di Borso e al Breviario di Ercole, con i quali costituiva una trilogia di capolavori miniati di assoluta eccellenza) e conservato come patrimonio della casa d’Austria-d’Este nell’esilio di Vienna; il corpo del manoscritto, privato delle 14 miniature di Zagabria, fu acquistato sul mercato antiquario dal collezionista armeno Gulbenkian per la sua Fondazione, ora a Lisbona.
Il committente
Alfonso d’Este (Ferrara 1476-1534), figlio del duca Ercole e di Eleonora d’Aragona, è il primo maschio di una schiatta che occuperà ruoli determinanti nel primo Cinquecento. I matrimoni di Alfonso obbediscono a precise scelte diplomatiche: nel 1491 sposa Anna Sforza al fine di consolidare l’alleanza con il ducato di Milano, mentre nel 1502 impalmerà Lucrezia Borgia, per ingraziarsi la benevolenza di papa Alessandro VI. Nel 1505 diviene terzo duca di Ferrara. Personaggio focoso e controverso, buon condottiero e abile politico, sempre in contrasto con il papa che rivendica diritti di successione su Ferrara, ottiene il favore della Francia e dell’imperatore Carlo V. Benché poco propenso agli studi e alla cultura, prosegue l’impegno secolare della casata per conservare alla sua città il ruolo di eminente centro artistico e culturale europeo.
Il miniatore
Matteo da Milano fu il più dotato miniatore della corte ferrarese del primo Cinquecento e realizzò gli ultimi grandi cimeli per gli Estensi. Già apprezzato allievo del Bramante e di Birago presso la corte milanese di Ludovico il Moro, nel 1502 fu chiamato a Ferrara per decorare prima il Breviario di Ercole, poi l’Offiziolo di Alfonso e il Messale del cardinale Ippolito. A Ferrara integra la sua formazione lombarda con le grandi lezioni degli artisti di Leonello e di Borso e, attento osservatore della nuova esperienza figurativa düreriana, diviene l’interprete principale di un più moderno linguaggio decorativo. Squisito partecipe dell’ultima grande stagione dell’età aurea della miniatura, realizza opere di eccelso valore che lo collocano sul piano dei maestri franco-fiamminghi.
L’edizione in facsimile
Unica e irripetibile in 999 esemplari numerati e certificati, è il frutto di un progetto di restauro culturale. L’obiettivo indicato dal Ministero, che ha promosso e sostenuto l’edizione, è stato quello di riportare all’integrità originale, e con omogeneità cromatica e compositiva, un’opera frammentata e dispersa, per ricomporre nella Biblioteca Estense, dopo un secolo e mezzo, il più famoso trittico della miniatura e proporre ai collezionisti l’unicum di Alfonso d’Este.
Il volume di commentario di 288 pagine contiene la trascrizione integrale del manoscritto e i saggi di Ernesto Milano, Sanja Cvetnic, Manuela Fidalgo, Paola Di Pietro Lombardi e Giancarlo Malacarne.
Codice, commentario e certificato di garanzia sono custoditi in cofanetto.
L’edizione, il cui il primo esemplare è stato donato dalla città di Ferrara al presidente Carlo Azeglio Ciampi, è stata presentata da Gianni Venturi nel Castello Estense di Ferrara e da Antonio Paolucci nel Palazzo dei Musei di Modena.
Il codice è noto come Apocalisse Estense. È un libro xilografico, impresso a inchiostro bruno intorno al 1460 in area olandese o renana. Le immagini sono tutte colorate a mano: per questo il codice è da considerarsi un esemplare unico. Si compone di 48 carte, di cui 44 divise in due scene, mentre 4 presentano una scena unica. Ogni tavola è contornata da un filetto che funge sia da cornice che da tratto separatore delle scene. Le immagini sono stampate e colorate sul recto delle carte, mentre il verso risulta bianco. Nell’Ottocento le tavole furono staccate, smarginate e applicate a colla su carte di 22x29 cm. L’ordine delle immagini, per la prima volta nel suo genere, è rispettoso del testo biblico e ciò accresce l’originalità dell’opera. Lo scritto latino, a intaglio xilografico con caratteri medio-grandi per favorire la lettura, è distribuito in cartigli oppure libero a contorno delle figure, con le quali si integra perfettamente, quasi ad anticipare le moderne tecniche del fumetto.
Il suggestivo immaginario dell’Apocalisse fu sempre una ghiotta fonte di ispirazione per la predicazione, per l’astrologia e per gli artisti, tra i quali Hans Memling, Albrecht Dürer e i miniatori medievali del Beato di Liébana. Lo stile di questa Apocalisse appare vicino alle coeve Bibliae Pauperum di area germanica e non troppo distante dalla scuola fiamminga del primo Quattrocento. Al tempo stesso, sembra proiettarsi verso modelli di vita religiosa ancora in gestazione: in molte scene, l’incisore-pittore non mostra rispetto né pietà per le colpe degli ecclesiastici, in una sorta di preludio alle critiche riformistiche che di lì a poco scuoteranno il mondo germanico e poi l’Europa intera.
L’edizione integrale della Apocalisse Estense, presentata nella Biblioteca Estense da Arturo Carlo Quintavalle, è stata stampata su una carta spe-ciale, estremamente affine al supporto dell’originale. La consunta legatura novecentesca in mezza pelle e cartone è stata sostituita dall’attuale legatura in pelle di vitello, appositamente realizzata in occasione di questa edizione e del restauro dell’originale. Il commentario di Ernesto Mila-no, di 96 pagine, è rilegato in mezza pelle. La tiratura in esclusiva mondiale è limitata a 999 esemplari numerati e certificati. L’Apocalisse, il commentario e il certificato di garanzia sono custoditi in box.
1440 ca., composto di II + 35 + II carte = 70 pagine, numerate a stampiglia rossa da I a LXX, due carte con astrolabi piani e «volvelle» per la ricerca dell’oroscopo e due pergamene; formato 22x29 cm, legatura in pelle, testo latino in gotico rotondo.
Il Liber Physiognomiae è una miscellanea di trattati medico-astrologici medievali, rivisitati in età umanistica. Autore dei testi, miniatore e committente rimangono ancora ignoti. Alle descrizioni sui giorni e sulle stagioni seguono i dodici segni dello zodiaco, raffigurati uno per pagina assieme al testo degli oroscopi, che delineano il carattere e gli eventi positivi e negativi dell’uomo e della donna in relazione al periodo di nascita; i disegni acquarellati del fondo pagina rappresentano gli influssi dei pianeti sul genere umano. Le parti centrale e finale del codice comprendono tavole genealogiche, interpretazioni astrologiche del sogno biblico del profeta Daniele e i suggerimenti medici di Pietro d’Abano, le cui lezioni nel primo Trecento all’Università di Padova si rivelano come le fonti dirette o ispiratrici del Liber. Le dodici tavole con i disegni acquarellati sono opera di un miniatore di area pisanelliana. Prevale l’attribuzione a un artista patavino (anche per i diretti riferimenti agli affreschi del Guariento agli Eremitani), tuttavia recenti ipotesi, non comprovate ma suggestive e forse verosimili, propongono una possibile comittenza per il marchese Leonello d’Este.
L’edizione in facsimile
L’edizione in facsimile del Liber Physiognomiae è stata realizzata in concomitanza con il restauro e con la dotazione della nuova copertina in pelle. L’opera è stampata su carta «Accademia» Fabriano, che richiama il supporto dell’originale. I due fogli membranacei sono riproposti su carta pergamenata. La cucitura e la legatura in pelle di vitello con impressioni a secco sono opera di provetti artigiani. La tiratura, in esclusiva mondiale, è di 999 esemplari numerati e certificati. Il commentario, di 64 pagine rilegate in brossura, contiene l’integrale trascrizione del testo latino e relativa traduzione, a cura di Paola Di Pietro Lombardi, un saggio storico-codicologico della stessa autrice, lo studio artistico di Leandro Ventura e quello storico di Daniele Bini. Codice, commentario e certificato di garanzia numerato sono custoditi in cofanetto.
Il piu' antico planisfero conservato in Italia che riporti le coste americane appena scoperte risale al 1502: è la Carta del Cantino. La riproduzione in facsimile, ad alta risoluzione, tanto che i piu' fini particolari sono meglio apprezzabili con l'uso di una lente, è fedele all'originale anche nelle lumeggiature dorate e nella misura, due metri e venti di lunghezza per un metro e cinque di altezza. Per gli amanti della miniatura e della cartografia, un'opera veramente imperdibile. Tiratura: 750 esemplari, numerati e certificati.
La Carta del Cantino è unanimemente considerata la più bella geocarta di età rinascimentale e attesta la recente scoperta del continente americano.
Miniata in Portogallo nel 1502, subito dopo i viaggi di Colombo e Vespucci, su sei pergamene congiunte per complessivi 105x220 cm, fu probabilmente commissionata dall’ambasciatore Alberto Cantino per documentare al duca di Ferrara Ercole I la nuova dimensione del mondo e l’importanza strategica delle grandi scoperte geografiche. Il planisfero mostra, infatti, le coste caraibiche e quelle brasiliane (si tratta della più antica rappresentazione del Nuovo Mondo conservata in Italia), separate dalla raya, la linea che divideva i possedimenti portoghesi da quelli spagnoli. Pur essendo una delle prime carte che per la rappresentazione dell’ecumene si libera della tradizione tolemaica, la Carta del Cantino vi rimane fedele per alcuni stereotipi che, ancora dopo Colombo, pretendono di identificare il percorso dell’uomo, come la Torre di Babele, il regno del Prete Gianni o il giardino dell’Eden. Nonostante la sua identificazione come charta del navicare, è invece una carta di rappresentanza, destinata alla contemplazione e allo studio, alla “geografia di corte”.
La nuova edizione della Carta, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e presentata da Laura Federzoni e Marco Cattini, è una co-produzione Il Bulino-Biblioteca Estense Universitaria. Il facsimile è stampato in 6 frammenti congiunti e intelati, custoditi nell’apposito cofanetto (110x16x16 cm), unitamente al commentario di E. Milano e A. Battini e al certificato di garanzia.
Il Planisfero Castiglioni è una grande carta nautica, tracciata su quattro pergamene congiunte per complessivi 81,5x214 cm. Nel titolo originario, il primo aggettivo sta a indicare la descrizione del mondo conosciuto a tutto il 1525 e il secondo la particolare cura tecnica usata dal cartografo. La carta è attribuita a Diego Ribeiro, «piloto maior» della Casa de Contratación di Siviglia – ufficio della corona spagnola deputato a redigere le innovazioni derivanti dalle scoperte geografiche – ed è considerata di eccezionale interesse in quanto per prima documenta visivamente le teorie sulla sfericità della terra.
Il documento scaturisce da un ambiente culturale di altissimo livello, produttore di carte non divulgative, bensì destinate al controllo dei commerci con le Indie: le carte di mano di Ribeiro, di cui il Planisfero è uno degli esempi più antichi, facevano capo a un archetipo, chiamato Padrón Real. Secondo la tradizione, la carta fu donata dall’imperatore Carlo V a Baldassarre Castiglioni, nunzio apostolico in Spagna e autore del celebre Cortegiano; ai conti Castiglioni di Mantova rimase fino al 2000, quando lo Stato la acquistò per restituirlo alla Biblioteca modenese.
Il Planisfero è stato collocato in una bacheca creata artigianalmente per essere esposta, nella sala «Campori» della Biblioteca Estense Universitaria, accanto ad altri fondamentali cimeli cartografici nell’ambito dell’evento espositivo-editoriale Alla scoperta del mondo. L’arte della cartografia da Tolomeo a Mercatore (gennaio-maggio 2002). Il Planisfero Castiglioni è stato oggetto di un approfondito studio storico-scientifico (Ernesto Milano), completo di trascrizione e individuazione dei toponimi (Annalisa Battini), pubblicato nel commentario all’edizione in facsimile, patrocinata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e curata da Roberto Bini per la co-produzione Il Bulino/Biblioteca Estense Universitaria. Il facsimile del Planisfero, nel formato originale, il volume di commentario (17 × 24 cm) e il certificato di garanzia sono custoditi in un cofanetto di 83 × 16 × 16 cm. Tiratura esclusiva mondiale di 499 esemplari numerati e certificati. L’edizione è stata presentata da Marco Cattini presso la Biblioteca Estense di Modena.
L’Officio della Vergine di Modena è un libro d’ore di manifattura lombarda datato 1390. Il codice, scritto e miniato su pergamena finissima, nel formato di 15x21 cm, si compone di 272 carte (corrispondenti a 544 pagine). L’apparato decorativo, dipinto con grande profusione di oro in lamina, presenta 28 miniature a piena pagina dedicate ai santi e alle festività religiose, 15 carte interamente incorniciate con fregi a motivi vegetali e miniature raffiguranti episodi della vita della Vergine e di Gesù, 10 capilettera dorati ornati con grandi fregi, 522 capilettera dorati, oltre 2500 iniziali miniate, di cui 1350 laminate in oro e 300 finalini di riga in gran parte dorati. La scrittura è in carattere gotico rotondo, con titoli rubricati. Il contenuto, partendo dal calendario, è quello classico dell’Officium del rito della chiesa romana.
Il committente fu un ricco nobile milanese, Balzarino de Pusterla, ambasciatore e uomo di corte di Giangaleazzo e di Filippo Maria Visconti, e il cui stemma compare a c. 12r e ricamato sul retro della copertina. Il codice subì diversi passaggi di proprietà prima di giungere, nel Settecento, nella raffinata collezione del marchese Obizzi del Catajo, donata interamente nel 1817 alla Biblioteca Estense.
Il codice è riconosciuto dagli studiosi come uno dei capolavori assoluti della miniatura, ascrivibile al periodo aureo del gotico internazionale. Le miniature sono state recentemente attribuite a Tomasino da Vimercate, autore di altri manoscritti per la corte viscontea e operante, negli ultimi anni del Trecento, nella bottega milanese di Giovannino de Grassi. L’Officium dell’Estense rappresenta l’espressione massima della sua arte, sempre originale, elegante e particolarmente dolce nelle rappresentazioni delle figure femminili.
La bellissima e lussuosa legatura del codice, in delicata seta rossa, è interamente ricamata con cornici ornamentali sui piatti e sul dorso a fili d’oro, d’argento e sete colorate; al centro del piatto anteriore è incorniciato il busto della Vergine Maria, mentre al centro di quello posteriore è ricamato lo stemma del possessore. Anche la copertina, presumibilmente manufatta nel Cinquecento per un alto personaggio di corte, costituisce per sontuosità e rarità una vera e propria opera d’arte.
Per consentirne la piena visibilità e godibilità, il codice è custodito in apposita teca sormontata da una protezione trasparente.
L’edizione in facsimile del Libro d’ore di Modena, presentata nel Palazzo dei Musei di Modena da Arturo Carlo Quintavalle e Giuseppa Z. Zanichelli, è stata realizzata in collaborazione con la Biblioteca Estense Universitaria, su autorizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in concomitanza con il restauro e la messa in sicurezza della delicata copertina.
Le fasi riproduttive – fotografia, digitalizzazione, elaborazione cromatica, stampa speciale su carta appositamente scelta, applicazione degli ori in lamina e a pennello, profilo fustellato delle singole carte e ricamo della copertina – sono state eseguite con le tecnologie più moderne sapientemente coniugate alle nostre metodologie creative, mentre la rilegatura del codice – raccolta e cucitura dei fascicoli, taglio dorato e cesellato, applicazione della copertina su assi di legno – sono state effettuate con procedimenti manuali. Commentario di 128 pagine con saggi e studi. La tiratura in esclusiva mondiale è di 499 esemplari numerati e certificati; altri 56 esemplari sono riservati alle istituzioni e all’editore.
L’Inventario delle Robbe di Isabella d’Este è un manoscritto di 24 carte in inchiostro di seppia su pergamena, decorato a minio e a foglia d’oro, rilegato in pelle con impressa una cornice dorata. L’estensore fu il notaio di corte Odoardo Stivini che, nel 1542, a tre anni dalla morte della marchesa di Mantova, ebbe l’incarico di inventariare le opere conservate nello Studiolo di Palazzo Ducale. Le 236 voci dell’elenco testimoniano il gusto estetico e il “furore” collezionistico della Gran Dama del Rinascimento italiano. Fra i tanti gioielli, pietre preziose, monete antiche e medaglie di Pisanello, vetri e ceramiche decorate, tessuti finissimi, spiccano le sculture greche e romane o di Michelangelo, bronzetti dell’Antico, dipinti di Andrea Mantegna, Giulio Romano, Correggio, Francia e Perugino.
Isabella nacque a Ferrara nel 1474, primogenita di Ercole I e di Eleonora d’Aragona. Infante prodigiosa, fu sposa di Francesco Gonzaga. Si guadagnò le lodi dei contemporanei per l’innata inclinazione alla grazia e alla dignità, ma anche all’autorità e alla diplomazia. La vita della sua corte fu vivacissima: celebri intellettuali e potenti politici ospiti del suo Studiolo ebbero sempre conferma che la Signora di Mantova era la Primadonna di quell’irripetibile epoca aurea.
Il codice è stampato a sei colori su carta conforme alla pergamena dell’inventario nel formato originale di cm 17x24; la legatura è in pelle con cornice in oro. Completa l’edizione il volume Isabella d’Este, la primadonna del Rinascimento, 240 pp., oltre 200 illustrazioni a colori.
La tiratura in esclusiva mondiale è di seicento esemplari numerati.
Gli esemplari da 101 a 200 appartengono alla serie HD (hortus deliciarum), in cofanetto esclusivo, con la medaglia in oro dedicata alla “Vittoria”.
L’edizione è stata presentata nel Cortile d’Onore del Palazzo Ducale di Mantova.
Il portolano è comunemente inteso come una carta nautica medievale, dotata di una ricca toponomastica dei luoghi costieri per l’impiego abituale da parte dei naviganti. A causa della conservazione arrotolata della pergamena e del reiterato uso sulle navi, le carte da navigar sono alquanto rare e non sempre in buono stato o integre.
La collezione dei tre portolani antichi dell’Estense è custodita nell’apposita teca in noce di 67×45×14 cm, con volume di commentario, certificato di garanzia, fermacarte in bron-zo su base di legno e lente per la consultazione. Le carte possono essere richieste anche singolarmente nell’apposito tubo protettivo.
Il portolano C.G.A.5.d (Maiorca,1450 ca.) di 59×76 cm raffigura l’intero bacino del Mediterraneo, le coste atlantiche dalle isole Britanniche al capo Bojador in Africa, una parte dell’Europa centrale e i territori nord-occidentali dell’Africa. I luoghi europei evidenziati sono le Alpi, nella consueta forma grafica a T, i Pirenei, le città di Venezia, Genova, Praga, Granada e Santiago de Compo-stela, le isole Baleari. In Africa risalta la catena del-l’Atlante, mentre la didascalia sul mar Rosso rievoca il passaggio degli Ebrei in fuga dall’Egitto.
Il portolano C.G.A.5.bportolano C.G.A.5.b (Maiorca, 1450-1460 ca.) di 61×90 cm rappresenta il bacino del Mediterraneo e l’Atlantico dalla Norvegia al Marocco. Meno decorato del precedente, verosimilmente era una vera e propria carta da navigar destinata all’uso diretto dei marinai. Sono evidenziate le città di Barcellona, Valencia, Santiago de Compostela, Granada, Venezia e Genova. Ai pochi simboli del paesaggio naturale fanno da riscontro i più numerosi segni di quello antropico con frequenti bandiere, scudi e città.
Il portolano C.G.A.5.c è il più antico documento della cartografia nautica portoghese. Anonimo e rifilato a 60×73 cm, documenta le scoperte portoghesi delle coste africane dopo le esplorazioni di Fernando Gomes negli anni 1471-72. L’evidenza riservata alle città di Lisbona e Ceuta, nonché le diverse bandiere collocate sulle coste africane a segnalare i punti di sbarco, consentono di datarlo fra il 1472 e il 1482.
Il portolano è comunemente inteso come una carta nautica medievale, dotata di una ricca toponomastica dei luoghi costieri per l’impiego abituale da parte dei naviganti. A causa della conservazione arrotolata della pergamena e del reiterato uso sulle navi, le carte da navigar sono alquanto rare e non sempre in buono stato o integre.
La collezione dei tre portolani antichi dell’Estense è custodita nell’apposita teca in noce di 67×45×14 cm, con volume di commentario, certificato di garanzia, fermacarte in bron-zo su base di legno e lente per la consultazione. Le carte possono essere richieste anche singolarmente nell’apposito tubo protettivo.
Il portolano C.G.A.5.d (Maiorca,1450 ca.) di 59×76 cm raffigura l’intero bacino del Mediterraneo, le coste atlantiche dalle isole Britanniche al capo Bojador in Africa, una parte dell’Europa centrale e i territori nord-occidentali dell’Africa. I luoghi europei evidenziati sono le Alpi, nella consueta forma grafica a T, i Pirenei, le città di Venezia, Genova, Praga, Granada e Santiago de Compo-stela, le isole Baleari. In Africa risalta la catena del-l’Atlante, mentre la didascalia sul mar Rosso rievoca il passaggio degli Ebrei in fuga dall’Egitto.
Il portolano C.G.A.5.bportolano C.G.A.5.b (Maiorca, 1450-1460 ca.) di 61×90 cm rappresenta il bacino del Mediterraneo e l’Atlantico dalla Norvegia al Marocco. Meno decorato del precedente, verosimilmente era una vera e propria carta da navigar destinata all’uso diretto dei marinai. Sono evidenziate le città di Barcellona, Valencia, Santiago de Compostela, Granada, Venezia e Genova. Ai pochi simboli del paesaggio naturale fanno da riscontro i più numerosi segni di quello antropico con frequenti bandiere, scudi e città.
Il portolano C.G.A.5c è il più antico documento della cartografia nautica portoghese. Anonimo e rifilato a 60×73 cm, documenta le scoperte portoghesi delle coste africane dopo le esplorazioni di Fernando Gomes negli anni 1471-72. L’evidenza riservata alle città di Lisbona e Ceuta, nonché le diverse bandiere collocate sulle coste africane a segnalare i punti di sbarco, consentono di datarlo fra il 1472 e il 1482.
Il libro della storia del mondo
Questa sontuosa opera è il frutto della più grande impresa editoriale della storia della stampa nell’età degli incunaboli. Uscita dai torchi della stamperia Koberger nel luglio 1493 in lingua latina con il titolo Liber chronicarum, fu ristampata già nel dicembre dello stesso anno in tedesco con il titolo Weltchronik, poi largamente diffusa e ricercata in Italia e in Europa come Cronache di Norimberga.
Ne fu autore Hartmann Schedel, illustre umanista tedesco, che, con l’editore e i finanziatori, creò un pool di studiosi, illustratori (compreso il giovane Albrecht Dürer), torcolieri e rilegatori per dotare la cultura germanica ed europea di un’opera enciclopedica sulla storia del mondo, dalla Creazione fino alla vigilia della scoperta dell’America.
L’opera si compone di 596 pagine nel formato di 44,3 × 30,8 cm e contiene ben 1809 illustrazioni xilografiche (di cui 645 da legni originali) interamente colorate a mano, come era richiesto per gli esemplari più lussuosi destinati alle librerie principesche. L’apparato cartografico è una delle caratteristiche più rilevanti: tutto il mondo allora conosciuto è rappresentato con più o meno fantasia. Spiccano per veridicità, invece, le grandi piante topografiche delle città di area franco-tedesca e delle città italiane più importanti e famose: Roma, Venezia, Firenze e Genova.
L’edizione in facsimile
È stata realizzata in Germania per celebrare il 500° anniversario dell’opera.
La tiratura internazionale è di 800 esemplari numerati, rilegati in pergamena e custoditi in box.
Al commentario tedesco è unito l’abstract in italiano.
Il Parma Ildefonso (Ms. Parm. 1650) è un codice miniato su pergamena realizzato nell’Abbazia benedettina di Cluny tra il 1090 e il 1100. Si compone di ff. 112 (= pp 224), nel formato di mm 158 × 230, legatura in pelle con fregi impressi a secco e in oro.
Il sistema illustrativo è di eccezionale complessità:
tutte le 222 pagine sono decorate con altrettante cornici di listelli in oro, argento e porpora, diversificate con motivi geometrici a meandro o foglie stilizzate che racchiudono sia le immagini, sia lo specchio di scrittura.
Inoltre, sono presenti: 9 miniature a piena pagina; 16 miniature che occupano circa mezza pagina, 8 miniature minori di forma quadrata con busti dei profeti, 8 iniziali maggiori, delimitate da campitura purpurea e ornate con intrecci nastriformi e terminazioni fitomorfe, 1 iniziale istoriata, raffigurante l’autore inginocchiato davanti a Cristo, 18 iniziali semplici in oro, contornate in rosso, 10 iniziali semplici in oro, varie rubriche secondarie in oro dello stesso modulo e carattere del testo.
Il restauro dell’opera, concomitante con l’edizione in facsimile, ha permesso di mantenerla sfascicolata e di poterla esporre integralmente a fogli sciolti sia in Biblioteca Palatina in occasione della presentazione ufficiale, sia nell’esposizione “Cluny et l’Europe” (29 giugno-settembre 2010) all’abbazia dei SS. Pietro e Paolo di Cluny (Borgogna) dove venne miniata sul finire dell’anno Mille.
Il nostro facsimile è stato acquistato da importanti istituzioni culturali del pianeta: leggete ad esempio la recensione del Cleveland Museum of Art.
Manoscritto miniato su pergamena, 1470 circa, 17x24 cm,
composto da 16 carte che danno vita a un libro di 32 pagine,
di cui 7 bianche con rigatura ortogonale a inchiostro rosso, 15 interamente miniate,
9 con disegni astronomici e una Tabula climatum;
scrittura semigotica libraria, in italiano, a inchiostro rosso, seppia e azzurro.
Il De Sphaera è unanimemente considerato il più bel libro astrologico del Rinascimento italiano. Miniato per la corte di Milano da un raffinato artista di scuola lombarda (forse Cristoforo de Predis), pervenne agli Estensi di Ferrara nell’am-bito dei frequenti interscambi artistico-culturali con la corte sforzesca.
Il codice riassume, con impareggiabile eleganza, il sapere astrologico dell’epoca e, soprattutto, è testimone della sua nuova autorità, del credito raggiunto dalla fede negli astri - moda e cultura a un tempo - presso le corti più potenti e raffinate. Il De Sphaera aggiunge lustro a un filone già proficuo, quello della iconografia planetaria e zodiacale, con la bellezza delle sue miniature e i versi rimati degli oroscopi.
Dodici colori base sono stati utilizzati per la stampa di quest’opera al fine di rendere al meglio sia la struttura cromatica delle miniature, sia la sensazione visiva e tattile dell’originale.
L’uso di un sistema di stampa a modulazione di frequenza o stocastico in luogo del tradizionale retino a punto tondo, unito a una risoluzione più che doppia rispetto alla stampa tradizionale di alta qualità, consente di apprezzare la finezza della miniatura anche attraverso una lente di ingrandimento
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Completa l’edizione il commentario, un importante volume storico e artistico, riccamente illustrato. Ne sono autori: Gianni Venturi, docente di storia della letteratura italiana all’Università d Firenze e direttore dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, Giovanna Lazzi, storica dell’arte e direttrice della Biblioteca Riccardiana di Firenze, Annalisa Battini, bibliotecaria dell’Estense Universitaria di Modena, Marco Bertozzi, docente all’Università di Ferrara.
Manoscritto miniato su pergamena, 1470 circa, 17x24 cm,
composto da 16 carte che danno vita a un libro di 32 pagine,
di cui 7 bianche con rigatura ortogonale a inchiostro rosso, 15 interamente miniate,
9 con disegni astronomici e una Tabula climatum;
scrittura semigotica libraria, in italiano, a inchiostro rosso, seppia e azzurro.
Il De Sphaera è unanimemente considerato il più bel libro astrologico del Rinascimento italiano. Miniato per la corte di Milano da un raffinato artista di scuola lombarda (forse Cristoforo de Predis), pervenne agli Estensi di Ferrara nell’am-bito dei frequenti interscambi artistico-culturali con la corte sforzesca.
Il codice riassume, con impareggiabile eleganza, il sapere astrologico dell’epoca e, soprattutto, è testimone della sua nuova autorità, del credito raggiunto dalla fede negli astri - moda e cultura a un tempo - presso le corti più potenti e raffinate. Il De Sphaera aggiunge lustro a un filone già proficuo, quello della iconografia planetaria e zodiacale, con la bellezza delle sue miniature e i versi rimati degli oroscopi.
Dodici colori base sono stati utilizzati per la stampa di quest’opera al fine di rendere al meglio sia la struttura cromatica delle miniature, sia la sensazione visiva e tattile dell’originale.
L’uso di un sistema di stampa a modulazione di frequenza o stocastico in luogo del tradizionale retino a punto tondo, unito a una risoluzione più che doppia rispetto alla stampa tradizionale di alta qualità, consente di apprezzare la finezza della miniatura anche attraverso una lente di ingrandimento
.
Completa l’edizione il commentario, un importante volume storico e artistico, riccamente illustrato. Ne sono autori: Gianni Venturi, docente di storia della letteratura italiana all’Università d Firenze e direttore dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, Giovanna Lazzi, storica dell’arte e direttrice della Biblioteca Riccardiana di Firenze, Annalisa Battini, bibliotecaria dell’Estense Universitaria di Modena, Marco Bertozzi, docente all’Università di Ferrara.
Il Messale della cattedrale di Mantova venne realizzato tra il 1442 e il 1465, negli anni inziali dell’età aurea di quella Mantua felix che seppe farsi promotrice di meravigliose testimonianze dell’incipiente Rinascimento italiano. A Mantova operano già Leon Battista Alberti, Pisanello e Vittorino da Feltre, ai quali presto si aggiungono Andrea Mantegna, Girolamo da Cremona e Luca Fancelli.
Il Messale di Mantova fu commissionato nel 1442 da Gian Lucido Gonzaga, vescovo di Milano poi cardinale, a Belbello da Pavia, considerato il maggior interprete della miniatura tardogotica italiana, già al servizio dei Visconti per completare il celebre Offiziolo, lasciato incompiuto da Giovannino de Grassi.
Con la scomparsa del committente (1448), il lavoro di decorazione e di scrittura (affidata a Pietro Paolo Marono, poi calligrafo anche della Bibbia di Borso d’Este) subì varie interruzioni e per quasi un decennio rimase incompiuto.
La ripresa dei lavori sul Messale è ascrivibile alla ferma volontà di Barbara di Brandeburgo-Gonzaga che, dal 1459, avoca a sé ogni competenza sul manoscritto.
Sarà Andrea Mantegna a suggerire a Barbara il nome del miniatore che dovrà portare a termine l’ambizioso programma artistico del Messale: quello del giovane Girolamo da Cremona, suo seguace, aperto ai nuovi stilemi del Rinascimento e già collaudato aiutante di Taddeo Crivelli, miniatore della Bibbia di Borso d’Este.
Fin dai primi studi novecenteschi sul Messale è stata evidenziata la mano di un terzo miniatore, rimasto anonimo, ma probabile collaboratore di Mantegna e seguace del nuovo gusto importato a Ferrara da Rogier van der Weyden sul finire degli anni Quaranta. Sono soltanto tre le carte attribuibili a questa mano e databili intorno al 1449-1450, probabilmente commissionate dalla marchesa Paola Malatesta, moglie di Gianfrancesco Gonzaga.
Il Messale, manoscritto miniato della cattedrale di Mantova, è un codice su pergamena, nel formato di mm 395 × 262, che si compone di 380 fogli (760 pagine).
Il codice è mutilo a c. 380; quasi certamente manca l’intero fascicolo di chiusura, probabilmente sottratto nei primi anni del Novecento unitamente a quattro fogli miniati, poi recuperati e reinseriti.
Dal 1983 il Messale è stato restituito definitivamente dallo Stato italiano alla Cattedrale di Mantova, legittima destinataria dell’opera già per volontà del cardinale Francesco Gonzaga, figlio di Barbara, volontà confermata nel ’500 dal cardinale Ercole, figlio di Isabella d’Este.
Lo stato di conservazione è buono, frutto del restauro del 1991 ad opera dell’Istituto Centrale del Restauro, e del succesivo intervento di restauro e consolidamento finanziato dal Bulino e attuato dall’Antica Legatoria Gozzi (2008), proprio in concomitanza con la campagna fotografica per il facsimile.
Il testo liturgico in latino è scritto in semigotico italiano con inchiostro nero e titoli e rubriche in rosso; notazione quadrata nera su tetragramma rosso per il corredo musicale.
Nel codice si fa ampio uso di lapislazzuli e oro in lamina; la decorazione si articola in:
6 carte del Calendario, con fregi sul lato esterno; 68 miniature di diverso formato; 2 grandi iniziali figurate; 7 carte con ampi fregi sui quattro lati; oltre 2000 iniziali decorate di norma poste su tre righe; centinaia di iniziali di capoverso con ornati a penna.
L’edizione in facsimile è stata autorizzata dalla Diocesi di Mantova in base alla convenzione sottoscritta con Il Bulino nel luglio 2008, previo parere favorevole della Soprintendenza regionale della Lombardia, ai fini anche della slegatura e scucitura del codice per compiere alcuni necessari interventi di restauro e di consolidamento. Ciò ha permesso di attuare la campagna fotografica in condizioni ideali e con strumenti tecnologici all’avanguardia. Al restauratore Pierangelo Faggioli è stato affidato anche il compito di dotare il codice di una nuova legatura in velluto cremisino (che sarà ripetuta dallo stesso legatore per il codice in facsimile), più consona alla storia documentata del manoscritto e più idonea alla sua fruibilità e tutela.
Il commentario è in corso di preparazione. I saggi sono affidati a Giusi Zanichelli, Federica Toniolo, Giancarlo Manzoli, Giuse Pastore e Giancarlo Malacarne.
La tiratura unica e irripetibile a livello mondiale è di 499 esemplari.
L’edizione sarà ultimata nella primavera del 2012.
l LIBRO DE HORAS DE LA VIRGEN TEJEDORA, codice miniato inv. 15452 della Fondazione Lázaro Galdiano di Madrid, è composto di 178 carte (= 356 pagine) di mm 144 x 197, interamente miniate e decorate a foglia d’oro, realizzato probabilmente in Francia intorno al 1450.
L'edizione in facsimile di Millennium Liber (Madrid - Barcellona) coedita per l'Italia dal Bulino, è stampata su carta speciale pergamenata con trattamento d’invecchiamento, cucitura dei quinterni a mano con filo vegetale secondo l’antica maniera rinascimentale, legatura in pelle e cofanetto di custodia in velluto, commentario di 216 pagine in lingua spagnola a cura di Elisa Ruiz García.
Tiratura unica e irripetibile di 995 esemplari numerati e certificati con atto notarile.
La Vergine tessitrice
Il codice, in perfetto stato di conservazione, viene così identificato per la miniatura di c. 91 che rappresenta la Vergine Maria al telaio. La scrittura è in carattere gotico e tutte le carte sono decorate con ampie cornici ai margini. Le 15 miniature a piena pagina scandiscono visivamente le parti in cui si soleva suddividere il classico libro d’ore. L’approfondito studio di Elisa Ruiz García e il parere scientifico di Francois Avril hanno consentito di collocare questa raffinatissima opera in un atelier parigino della metà del Quattrocento, nell’età aurea della miniatura franco-fiamminga.
La Fondazione Lázaro Galdiano
Il manoscritto è conservato nella prestigiosa Fondazione madrilena intitolata nel 1947 a Lázaro Galdiano, celebre studioso e collezionista.
La biblioteca è una delle più ricche di Spagna ed eccelle per i suoi codici medievali e per la enorme messe di documenti e opere riguardanti la letteratura iberica. Il perfetto stato di conservazione del nostro Libro d’Ore testimonia l’estrema accuratezza operata dal grande bibliofilo nella scelta collezionistica, ma anche la straordinaria tutela che ha sempre preteso per i capolavori dell’arte.
Edizione tedesca in facsimile dell’incunabolo xilografico, noto come l’Esopo di Ulm, stampato da Johannes Zainer nel 1476, appartenente alla collezione «Otto Schäfer» di Schweinfurt. L’incunabolo, interamente colorato a mano è una rarità assoluta della bibliofilia (oltre a questo, si conosce soltanto l’esemplare di Vienna). 550 pagine, 191 illustrazioni xilografiche colorate, formato 30,5 × 22,5 cm; stampa a colori, rilegatura in pelle nappata, commentario italiano di 96 pagine, con testi di Peter Amelung, direttore della Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda, e di Claudio Fraccari, oltre ad una selezione di 26 favole esopiche tradotte da C. Fraccari.
La tiratura è di 800 esemplari in numeri arabi e 80 in numeri romani. Codice e commentario sono custoditi in box.
La Piccola Passione è una delle più note opere di Albrecht Dürer. Realizzata tra il 1509 e il 1511, anno in cui venne pubblicata in volume dallo stesso artista, editore delle sue grandi opere grafiche.
L’opera si compone di 36 tavole xilografiche, oltre al frontespizio, “vir dolorum”, e ad un’ulteriore tavola, già ripudiata da Dürer, ma inserita per documentazione; il formato medio delle xilografie è di mm 128 x 96, stampate su fogli di cm 21 x 15.
Il volume originario si completava con il commento alle tavole di Filippo Chelidonio. Qualche anno dopo l’intera suite venne venduta da Dürer all’incisore bolognese Marcantonio Raimondi, col quale poi l’artista entrò in conflitto, accusandolo di plagio. In effetti, il Raimondi utilizzò le tavole di Dürer per rifare la stessa opera in incisione calcografica, così come copiò altre opere – in particolare i fogli della “Vita della Vergine” – per venderle sul mercato italiano ed europeo.
Fu tale la diffusione e la popolarità dell’opera düreriana nei primi decenni del Cinquecento che molti artisti ne trassero ispirazione per le proprie opere: dal Pontormo al Romanino, ma anche molti miniatori tedeschi e fiamminghi, come Nicolaus Glockendon e Simon Bening.
Le tavole originali ricomparvero a Venezia, e dopo una edizione di metà Cinquecento, nel 1600 l'opera, su iniziativa del cartografo e incisore Donato Rasciotti, venne ristampata dall’editore veneziano Daniele Bisuccio con dedica all’arciduca d’Austria, con un nuovo frontespizio e con il nuovo commento in lingua italiana del canonico Maurizio Moro.
L’edizione in facsimile dell’opera è realizzata su uno dei rari esemplari di prova della stampa seicentesca, proveniente da collezione privata, priva del testo di Maurizio Moro, ma con tutto l’apparato xilografico originario: il frontespizio “Vir dolorum”, le 36 tavole della Passione, anticipata da due xilografie dedicate ai Progenitori nell’Eden, e la prima versione della tavola “Cristo sul Monte degli ulivi”, poi ripudiata da Dürer e sostituita con il nuovo intaglio.
Il formato (cm 21 x 15) e il numero delle pagine (76 + VIII di risguardi e colophon) sono analoghi all’opera originale.
L’opera è stampata su carta Fabriano Gentile; la rilegatura in pelle con una cornice impressa sui piatti, è a cura dell’Antica Legatoria Gozzi di Modena.
Al volume xilografico düreriano si accompagna un volume sulla vita e l’opera di Albrecht Dürer. Ne è autore lo stesso editore, Mauro Bini, che ha riletto le vicende dell’artista di Norimberga in chiave innovativa: un lungo viaggio verso la “modernità”. Dal primo viaggio giovanile in Germania, ai due viaggi compiuti in Italia e a Venezia, fino all’ultimo soggiorno nelle Fiandre nel 1520-21, Dürer andò alla scoperta delle nuove tendenze dell’arte rinascimentale e della nuova dimensione dell’uomo e del sapere scientifico, così come nell’Anversa capitale del commercio e degli equilibri politici mondiali scoprì la nuova società borghese europea.
La Piccola Passione xilografica e il volume accompagnatorio sono custoditi in cofanetto.
La tiratura è di 199 esemplari, numerati e certificati, + 26 siglati dalla A alla Z riservati agli Amici del Bulino.